L’espressione Buone Pratiche di Laboratorio (BPL) è ben nota come sinonimo di qualità. Si tratta di uno standard in base al quale le ricerche di laboratorio sono progettate, condotte, controllate, registrate e riportate per assicurare agli utenti risultati accurati e affidabili ed esperimenti riproducibili in ogni momento. Ma quanto ne sapete davvero di BPL e del suo background?

Ok, partiamo dall’inizio: la BPL è un regolamento formale creato nel 1978, quando la FDA (US Food and Drug Administration) divulgò un insieme di linee guida aventi lo scopo di garantire la tracciabilità dei test nei laboratori di prova di tutti gli Stati Uniti.

La BPL aveva l’obiettivo di regolamentare e garantire la sicurezza delle ricerche condotte nei laboratori non-clinici (come, ad esempio, i test tossicologici sugli animali), per assicurare che ogni nuova molecola sviluppata dall’industria farmaceutica fosse sicura, prima di procedere con la sperimentazione umana.

Per questo motivo, l’acronimo BPL è solitamente associato all’industria farmaceutica e ai test sugli animali che devono obbligatoriamente essere condotti prima che nuovi farmaci possano essere autorizzati. Tuttavia, la Buona Pratica di Laboratorio è potenzialmente applicabile a tutti i settori in cui vengono svolte attività di laboratorio, come ad esempio le aziende del settore manifatturiero, alimentare, agrochimico e meccanico.

In Europa, l’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo ha adottato i principi della BPL accettati dalla Comunità Europea e specificati dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea nella Direttiva 2004/10/EC dell’11 febbraio 2004. Tale Direttiva afferma: “Obiettivo dei principi di buona pratica di laboratorio è promuovere la generazione di dati qualitativamente ineccepibili. La comparabilità del livello di qualità dei dati ottenuti saggiando i prodotti chimici è fondamentale per renderli reciprocamente accettabili nei vari paesi. Se ogni singolo paese può fare affidamento sui dati delle sperimentazioni effettuate negli altri paesi, si possono evitare duplicazioni, risparmiando così tempo e risorse. L’applicazione dei principi di BPL deve contribuire ad evitare ostacoli tecnici agli scambi e consentire inoltre di migliorare la tutela della salute umana e dell’ambiente”.

I requisiti chiave per lavorare in base allo standard BPL sono:

  • Definizione delle responsabilità all’interno del team di ricerca e dell’unità di quality assurance.
  • Standard procedurali e operativi scritti.
  • Dimensione e struttura dei laboratori adeguate a garantire l’integrità delle ricerche, evitando, ad esempio, le cross contamination.
  • Qualità adeguata del materiale necessario ai test e strumentazione calibrata e ben manutenuta.
  • Procedure di acquisizione e archiviazione dei dati in grado di assicurarne l’integrità.

La BPL non è un lusso, ma una necessità per quei laboratori che ambiscono ad ottenere e conservare nel tempo il rispetto di impiegati, clienti, enti di controllo e – cosa forse ancora più importante – competitor. Se infatti un’azienda applica i più alti standard di pratiche di laboratorio, potrà guadagnare un significativo vantaggio competitivo nel suo ambiente operativo.

Tuttavia, i laboratori che mirano a raggiungere i massimi livelli di qualità non dovrebbero limitarsi a soddisfare i soli requisiti delle BPL. Se infatti è vero che le Buone Pratiche di Laboratorio rimangono un elemento essenziale per l’affidabilità dei laboratori di prova, è altrettanto vero che per raggiungere un livello avanzato di qualità non è sufficiente la sola integrità dei dati. Secondo noi di Eusoft, ciò che può fare davvero la differenza è l’impegno verso un miglioramento continuo, non solo per quel che riguarda l’integrità dei dati, ma anche in tema di sicurezza, responsabilità e, soprattutto, innovazione.